PER UNA NUOVA MUSICA LITURGICA
DI LORENZO DONATI
ARTICOLO NOVEMBRE 2003
PER UNA NUOVA MUSICA LITURGICA DI LORENZO DONATI
ARTICOLO NOVEMBRE 2003
MUSICA SACRA: RELIGIOSA E LITURGICA
I
La musica tra tutte le arti è quella che più si allontana dalla comunicazione di significati precisi. Certamente la pittura, la scultura o la poesia non esprimono esclusivamente un significato, ma la loro relazione con la realtà, ne ha fatte da sempre arti che potevano più facilmente docere, movere, delectare.
Questo non significa che la musica sia un’arte di minore interesse e capacità espressiva, anzi la caratteristica di muovere emozioni, senza utilizzare necessariamente figure appartenenti al mondo reale, ne fanno l’arte che per eccellenza avvicina l’uomo alla meditazione.
Ogni espressione artistica comunica attraverso molti livelli e se il delectare è di semplice comprensione, perché è legato alla bellezza delle forme artistiche che possono essere “leggibili” anche da un pubblico non preparato; comprendere il movere richiede invece una maggiore preparazione, perché per muovere in profondità l’animo si devono conoscere e poter apprezzare alcune caratteristiche tecniche dell’opera d’arte.
La musica si distingue in maniera evidente dalle altre arti nel docere, qui questa forma espressiva diviene spesso un linguaggio per pochi. Se attraverso le immagini e le parole si possono facilmente “educare” persone di culture ed esperienze diverse, la musica non ha a disposizione alcuna caratteristica che univocamente possa richiamare a figure della realtà. Questa “maggiore” astrazione nel Quattrocento e nel Rinascimento aiutò la nascita di un linguaggio di simboli musicali comprensibili solo da una ristretta cerchia di uomini di cultura. Simboli che potevano certamente “insegnare” e comunicare dei messaggi teologici, filosofici e di Fede, ma che erano interpretabili solo dai musici sapiens. Il Concilio di Trento intervenne proprio su questo campo, cercando di indirizzare nuovamente la musica verso una più semplice comprensione da parte di tutti, attraverso la chiarezza dell’espressione verbale.
Il grande fulcro espressivo che il Concilio di Trento voleva mettere in risalto era la parola, che attraverso il canto, può trovare una importantissima fusione di intenti con l’espressione musicale. La parola è stata da sempre il luogo in cui il suono si univa al significato e per questo dagli antichi fino ai nostri giorni i compositori hanno dedicato una grande attenzione all’interpretazione del testo.
Dalle prime forme di canto monodico, fino alla precisazione con l’intervento di San Gregorio del repertorio liturgico che prese il nome di gregoriano, la parola, nel suo duplice aspetto di suono e significato, fu l’elemento dal quale si generava il ritmo e la melodia. Per questo non possiamo e non dobbiamo dimenticare prima della musica la fondamentale importanza del testo.
Le fonti bibliche privilegiate da sempre per la ricerca di testi adatti alla musica sacra e liturgica, sono oggi tradotte con non sempre felici e autorevoli esiti o affiancate a testi di nuova produzione che dovrebbero essere valutati per comprenderne l’effettivo valore.
II
Oltre al “come si canta la parola”, cioè alla comprensione del testo durante la cerimonia liturgica che fu promossa dall’intervento del Concilio di Trento ed ebbe nei secoli successivi un suo importante sviluppo fino ad arrivare alla moderna celebrazione della liturgia nelle varie lingue nazionali; le autorità ecclesiastiche devono affrontare oggi anche il problema del “cosa viene cantato”.
Questo perché nel momento in cui si chiede alla musica di mettere in risalto la fruibilità della parola, è importante affrontare il “che cosa” propone il testo. La nascita e la proliferazione di “canzoni” ad una voce che rendono molto comprensibile il messaggio del testo, presuppone di conseguenza la nascita o la riscoperta di un repertorio letterario che mantenga quelle caratteristiche poetiche e estetiche proprie della celebrazione liturgica.
Rileggendo alcune tra le poesie e le preghiere che hanno stimolato la creatività dei musicisti del passato ci si può certamente rendere conto di quale deve essere il punto di riferimento letterario e poetico, affinché il messaggio non risulti “sacro” nei contenuti, ma “profano” nei modi e nelle realizzazioni.
La consuetudine rinascimentale di riprendere la musica delle composizioni profane e sostituirne il testo con un brano sacro, era sfruttata per utilizzate con finalità educative le composizioni più diffuse nella popolazione. Il popolo che difficilmente poteva partecipare all’esecuzione dei canti sacri della grande tradizione polifonica, veniva così guidato al canto di argomento sacro, attraverso alcune melodie popolari. La musica sacra aveva in questo modo due importanti categorie, quella con finalità educative, spesso nella lingua o nel dialetto del luogo dove veniva cantata, e quella con finalità celebrative, composta dai maestri di cappella e cantata in latino durante le liturgie.
Certamente i tempi sono cambiati, ma c’è il rischio di un’invasione dello stile profano all’interno delle celebrazioni liturgiche. Questo rischio non nasce dall’utilizzo di una lingua diversa dal latino, non nasce neppure dalla semplificazione del linguaggio musicale, questi aspetti dovranno trovare un loro equilibrio, ma certamente potranno col tempo avere un loro indirizzo sempre più preciso. Il pericolo sta invece nella perdita di confronto con la grande tradizione liturgica della Chiesa e nell’importazione all’interno delle celebrazioni di formule musicali e letterarie tipiche della musica leggera e della musica profana moderna.
Se prima il sacro andava incontro alla cultura popolare creando una versione religiosa delle composizioni profane, ma rimanendo in ambito non liturgico, oggi è il mondo dell’arte popolare rischia di entrare prepotentemente nella liturgia attraverso i suoni, le parole, le voci, i ritmi.
Per questo è fondamentale che all’interno delle strutture educative della Chiesa, si riservi un importante momento alla formazione di una nuova, moderna e cosciente cultura musicale e letteraria.
III
Ricercare l’equilibrio tra la tradizione e l’innovazione è stato ed è ancora un percorso complesso. Gli ultimi decenni hanno portato nuovi stimoli ed a volte qualche disorientamento. Per questo è fondamentale ripartire dal “Motu Proprio” di Pio X, per poter comprendere come il problematico rapporto tra la musica e la liturgia non è un argomento recente, ma da sempre affrontato dalla Chiesa.
Nei principi generali del “Motu proprio” leggiamo:
<<La musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia ne partecipa il fine generale, che e la gloria di Dio e la santificazione ed edificazione dei fedeli.
Essa concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche.>>
ed ancora:
<< La musica sacra deve per conseguenza possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia e precisamente la santità e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro carattere, che è l’universalità. […]Deve essere arte vera, non essendo possibile che altrimenti abbia sull’animo di chi l’ascolta quell’efficacia, che la Chiesa intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni.>>
Ritroviamo quindi i concetti fondamentali di solennità della liturgia, dell’edificazione dei fedeli, di universalità e di verità che ancora oggi devono essere tenuti in grande considerazione. Principi che obbligano i seminari italiani e tutte le strutture educative a prendere in grande considerazione la necessità di uno studio approfondito della musica.
Per poter distinguere le strade più adeguate alla nascita ed allo sviluppo di una musica che sia solenne, educativa, universale e vera servono strumenti tecnici che solo una preparazione profonda può dare. Preparazione che era ancora presente all’epoca di San Pio X, ma che per molteplici motivazioni si è andata diversificando e, in alcuni sfortunati casi, perdendo nei tempi moderni.
Nel “Motu proprio” leggiamo:
<<Per tali motivi il canto gregoriano fu sempre considerato come il modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica; quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme. […]Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia>>
Questo sta ad indicare quanto ancora fosse forte l’interesse per il canto gregoriano che si rifletteva sia sulle composizioni polifoniche sacre che sulle melodie popolari di carattere religioso. Presenza che portò alla nascita di una nuova musica liturgica ed un nuovo coinvolgimento dei fedeli.
Chiaramente non è adesso possibile creare un ponte tra la situazione culturale dei primi anni del Novecento e l’epoca che stiamo vivendo, molti altri accadimenti storici, culturali e religiosi sono avvenuti, ma è importante interpretare nell’oggi ciò che era e continua ad essere fondamentale per la Chiesa: il rapporto tra la parola e la melodia, il ritmo e l’eleganza del canto.
Altrettanto degno di attenzione è ciò che il “Motu proprio” chiedeva di evitare:
<<[…] le composizioni musicali di stile moderno, che si ammettono in chiesa, nulla contengano di profano, non abbiano reminiscenze di motivi adoperati in teatro, e non siano foggiate neppure nelle forme esterne sull’andamento dei pezzi profani>>
e ancora:
<< Il testo liturgico deve essere cantato come sta nei libri, senza alterazione o posposizione di parole, senza indebite ripetizioni, senza spezzarne le sillabe, e sempre in modo intelligibile ai fedeli che ascoltano>>
Attenzioni al discernimento tra stile sacro e stile profano che la mancanza di una verifica costante e la difficile creazione di un’approfondita preparazione musicale hanno, in taluni casi, fatto passare in secondo ordine.
IV
Entrando più specificatamente nell’educazione musicale dei seminari il “Motu proprio” proponeva:
<<Nei seminari dei chierici e negli istituti ecclesiastici, giusta le prescrizioni tridentine, si coltivi da tutti con diligenza ed amore il prelodato canto gregoriano tradizionale, ed i Superiori siano in questa parte larghi d’incoraggiamento e di encomio coi loro giovani sudditi. Allo stesso modo, dove torni possibile, si promuova tra i chierici la fondazione di una Schola Cantorum per l’esecuzione della sacra polifonia e della buona musica liturgica.>>
Questo indirizzo è di fondamentale importanza per le nostre istituzioni educative e le parole “diligenza ed amore” stanno ad indicare quanto il canto gregoriano sia imprescindibile materia da affrontare durante gli studi di formazione. Chiaramente questa cultura è oggi da ampliare con tutte le altre forme espressive che la musica vocale propone, dalla polifonia antica ai canti della nuova produzione in lingua italiana. Ma il canto rimane la prima e fondamentale forma educativa dei giovani e dei sacerdoti.
Pio X intese però allargare le <<sagge riforme, da molto tempo desiderate e da tutti concordemente invocate>> alle strutture formative specialistiche di teologia e musica sacra:
<< Nelle ordinarie lezioni di liturgia, di morale, di gius canonico che si danno agli studenti di teologia non si tralasci di toccare quei punti che più particolarmente riguardano i principi e le leggi della musica sacra, e si cerchi di compierne la dottrina con qualche particolare istruzione circa l’estetica dell’arte sacra, affinché i chierici non escano dal seminario digiuni di tutte queste nozioni pur necessarie alla piena cultura ecclesiastica. […] Si procuri di sostenere e promuovere in ogni miglior modo le Scuole superiori di musica sacra dove già sussistono e di concorrere a fondarle dove non si possiedono ancora. Troppo è importante che la Chiesa stessa provveda all’istruzione dei suoi maestri, organisti e cantori, secondo i veri principi dell’arte sacra.>>
La chiarezza delle vedute di vera e propria riforma dell’insegnamento della musica si comprende proprio dall’impostazione di questo documento, teso a coinvolgere pienamente tutte le realtà formative e divulgative della musica sacra.
V
Nel secondo dopoguerra la Chiesa sentì la necessità di continuare la riforma di San Pio X e nel 1955 l’enciclica “Musicae Sacrae Disciplina” confermò e approfondì l’intento di rinnovamento e ritorno al canto gregoriano espresso nel “Motu proprio”.
<<[…] si può affermare a buon diritto che è stato il Nostro predecessore di i.m. san Pio X a compiere un'organica restaurazione e riforma della musica sacra, tornando a inculcare i principi e le norme tramandati dall'antichità e opportunamente riordinandoli secondo le esigenze dei tempi moderni.>>
Un’attenzione ai principi tramandati dall’antichità che si manifestava con una grande premura verso l’educazione al canto gregoriano del quale si proponeva un rinvigorimento del repertorio attraverso la composizione di nuove melodie:
<< Noi vogliamo e prescriviamo che si faccia, portando l'attenzione a quelle caratteristiche che sono proprie del genuino canto gregoriano; che cioè nella celebrazione dei riti liturgici si faccia largo uso di tale canto, e si provveda con ogni cura affinché sia eseguito con esattezza, dignità e pietà. Che se per le feste introdotte di recente si debbano comporre nuove melodie, ciò si faccia da maestri veramente competenti, in modo da osservare fedelmente le leggi proprie del vero canto gregoriano e le nuove composizioni gareggino per valore e purezza con le antiche.>>
Nell’enciclica si faceva riferimento con precisione alle caratteristiche già espresse da Pio X sulla santità della musica, che non doveva avere alcun elemento richiamante il mondo profano. Soprattutto venivano rinforzati i valori di verità e universalità del canto gregoriano come momento di unità della liturgia romana.
Questi indirizzi vennero reinterpretati dalle norme del “Sacrosantum Concilium”, ma il valore del canto gregoriano nel suo intenso rapporto tra parola e musica rimase evidente anche nel Concilio:
<<La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, […]>>
Lo stesso Concilio confermò con alcune precisazioni l’utilizzo della polifonia all’interno della celebrazioni, ma fondamentale fu la prosecuzione del rinnovamento legato alla musica religiosa popolare.
Questo tipo di composizione sacra era già stata presa in considerazione da Pio XII che esortava a favorire e promuovere il canto liturgico in volgare, dettandone le caratteristiche:
<< Affinché tali canti religiosi portino frutto spirituale e vantaggio al popolo cristiano, devono essere pienamente conformi all'insegnamento della fede cristiana, esporla e spiegarla rettamente, usare un linguaggio facile e una melodia semplice, aborrire dalla profusione di parole gonfie e vuote e, infine, pur essendo brevi e facili, avere una certa religiosa dignità e gravità. >>
Dall’attenzione dedicatagli nella “Musicae Sacrae Disciplina” nel 1955 all’estrema valorizzazione conferita a questo tipo di canto assembleare dal Concilio Vaticano II nel 1963, l’evoluzione fu assai rapida, ma certamente lineare.
L’esortazione di Pio XII a volere favorire questi canti religiosi era già un chiaro indirizzo di ricerca che la Chiesa si proponeva per dare prestigio liturgico al repertorio popolare:
<<Non vi mancheranno uomini esperti, per raccogliere e riunire insieme, dove già non sia stato fatto, questi canti, perché da tutti i fedeli possano più facilmente venire imparati, cantati con speditezza e bene impressi nella memoria.>>
VI
Zelo, accuratezza, chiarezza di intenti didattici e tante altre caratteristiche erano richieste dall’enciclica “Musicae Sacrae Disciplina” a coloro che dovevano indicare la strada per la nascita e la valorizzazione dei cori:
<<Innanzi tutto datevi cura perché nella chiesa cattedrale e, in quanto dalle circostanze è consentito, nelle maggiori chiese della vostra giurisdizione, ci sia una scelta Schola cantorum, la quale riesca agli altri di esempio e di stimolo a coltivare e a eseguire con diligenza il canto sacro. Dove poi non si possono avere le Scholae cantorum né si può adunare un conveniente numero di Pueri cantores, si concede che "un gruppo di uomini e di donne o fanciulle in luogo a ciò destinato, posto fuori della balaustra, possa cantare i testi liturgici della messa solenne, purché gli uomini siano del tutto separati dalle donne e fanciulle e sia evitato ogni inconveniente, onerata in ciò la coscienza degli ordinari".>>
Medesima attenzione era destinata alla preparazione dei seminaristi:
<<Con grande sollecitudine è da provvedere che quanti nei seminari e negli istituti missionari religiosi si preparano ai sacri ordini, siano rettamente istruiti secondo le direttive della chiesa nella musica sacra e nella conoscenza teorica e pratica del canto gregoriano da maestri esperimentati in tali discipline,[…]che se tra gli alunni dei seminari e dei collegi religiosi ve ne sia qualcuno fornito di particolare tendenza e passione verso quest'arte, i rettori dei seminari o dei collegi non trascurino d'informarvi di questo, perché possiate offrirgli occasione di coltivare meglio tali doti.>>
VII
Occasione di grande continuità con l’enciclica di Pio XII fu nel Vaticano II, l’attenzione ad una rinnovata e fruttuosa educazione musicale all’interno dei seminari.
<<Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli studentati, come pure negli altri istituti e scuole cattoliche. Per raggiungere questa formazione si abbia cura di preparare i maestri destinati all'insegnamento della musica sacra.>>
La valorizzazione dell’arte musicale attraverso il consolidamento degli istituti di musica sacra dove si sarebbero approfondite le materie specifiche, e la formazione liturgica aperta ai musicisti, ai cantori ed ai fanciulli furono certamente un’ulteriore importante stimolo verso il rinnovamento del repertorio.
Certamente la musica fu l’arte che venne maggiormente coinvolta dal rinnovamento della celebrazione liturgica del Concilio Vaticano II, per cui la ricerca di << maestri destinati all'insegnamento della musica sacra>> non poteva, in quel momento di grandi trasformazioni, avere molto successo.
Per questo motivo l’art. 115 del “Sacrosantum Concilium” chiedeva per prima cosa nella formazione musicale, di preparare i maestri. Era evidente quanto le norme che venivano indicate dal Concilio sarebbero state inizialmente di difficile comprensione ed attuazione.
La partecipazione corale e attiva dei fedeli a molte parti della messa sancita dall’art. 30:
<<Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, un sacro silenzio.>>
rendeva, soprattutto in Italia, molto complessa l’elaborazione dei nuovi canti per la messa e difficoltoso l’insegnamento della musica all’interno delle strutture educative religiose. Questo perché la cultura musicale di base del popolo italiano era a livelli di completo analfabetismo ed era quindi impossibile allargare l’espressione musicale liturgica all’assemblea, senza semplificare il linguaggio musicale.
VIII
Dal Concilio Vaticano II ai nostri giorni non è stata semplice l’attuazione completa delle indicazioni riguardanti la musica. Questo per la già citata impreparazione dei fedeli ad una partecipazione vocale attiva alle cerimonie, ma anche, come ha messo in risalto il Convegno sulla Musica Sacra del gennaio 2001, per una certa “mancanza di coesione nelle persone impegnate nella musica sacra”. Una mancanza di coesione che occorre affrontare per riconciliare “le forze impegnate” e “ per riaffermare i valori della musica in cui la Chiesa crede”.
<<L'azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo.>>(estratto SC 113)
Così recita l’art. 113 del ”Sacrosantum Concilium”. Trattando il tema della liturgia solenne, queste parole proponevano il cammino da seguire. Non si potevano certamente prevedere e risolvere anticipatamente le problematiche che sarebbero nate nell’attuazione del rinnovamento del rito. Altre erano le indicazioni messe in risalto dall’art. 112 che avrebbero dovuto guidare i ministri della Chiesa, i compositori, i rettori dei seminari:
<<Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia dando alla preghiera un'espressione più soave e favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri. La Chiesa poi approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purché dotate delle qualità necessarie.>> (estratto SC 112)
I concetti di vera arte, già proposti da San Pio X e dall’enciclica di Pio XII venivano ripresi, come confermata era l’attenzione al canto gregoriano, alla musica polifonica ed alla nascita di “Schole cantorum” all’interno di tutte le chiese.
Sappiamo però quanto tutto questo è stato realizzato parzialmente e quanto ancora si debba cercare il giusto equilibrio tra l’arte sacra del passato e quella moderna.
Molti interventi si sono succeduti nel tentativo di indirizzare questo cammino. Uno fra i più importanti fu nel 1967 quello della la Sacra Congregazione dei Riti che con l’Instructio “Musicam sacram – de musica in sacra liturgia” pose la sua attenzione su tutte le caratteristiche necessarie affinché questa arte potesse essere considerata sacra e liturgica:
<<Musica sacra è quella che, composta per la celebrazione del culto divino, è dotata di santità e bontà di forme>>
e ancora:
<<Sotto la denominazione di Musica sacra si comprende, in questo documento: il canto gregoriano, la polifonia sacra antica e moderna nei suoi diversi generi, la musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente ammessi nella liturgia, e il canto popolare sacro, cioè liturgico e religioso.>>
IX
Organico, chiaro, per molti aspetti anche concreto nella risoluzione delle problematiche inerenti la celebrazione liturgica, il documento della Congregazione dei Riti precisa puntualmente tutti gli aspetti che riguardino la musica sacra.
Dopo alcune norme generali che riprendono e sviluppano gli articoli del “Sacrosantum concilium”, si passa all’analisi di vari argomenti tra cui:
L’istruzione al canto dell’assemblea viene proposta in molti punti con grande chiarezza:
<< […] la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, […] >>
si ricerca anche la preparazione di laici che possano essere da guida durante la liturgia:
<< tra i fedeli siano istruiti con speciale cura nel canto sacro i membri delle associazioni religiose di laici. >>
Ma anche e soprattutto non viene dimenticata la promozione della musica cantata dalla “schola”, sopratutto se questa è formata dai seminaristi o dagli studenti degli istituti religiosi:
<< si abbia e si promuova con cura specialmente nelle cattedrali e altre chiese maggiori, nei seminari e negli studentati religiosi, un “coro” o una “cappella musicale” o una “schola cantorum”>> e <<si educhino inoltre i fedeli a saper innalzare la loro mente a Dio attraverso la partecipazione interiore, mentre ascoltano ciò che i ministri o la “schola” cantano.>>
X
Nelle indicazioni della Congregazione dei Riti si può spesso notare l’attenzione all’educazione musicale dei seminaristi. Questo argomento era già stato affrontato nel 1965 dalla Congregazione dei Seminari con l’Istructio “Doctrina ed exemplo”.
L’art. II di questo documento tratta l’insegnamento della musica sacra nei seminari ed è di fondamentale indirizzo per l’impostazione, la verifica e il miglioramento della situazione attuale.
<<La musica sacra deve essere annoverata fra le materie indispensabili alla educazione dei chierici>>
questa è una delle prime frasi che si leggono nell’Art. II che continua precisando la necessita che la musica
<<venga insegnata con metodi idonei e per tempo sufficiente, a partire dai primi anni di studio del corso teologico.>>
Basterebbe soltanto questo frammento del documento per evidenziare quali sono i seminari italiani che hanno realizzato questo progetto. Probabilmente ci accorgeremmo che, per molteplici motivi, non sono molti gli istituti che pur nella varietà delle realizzazioni abbiano dato seguito, in maniera corretta, alle istruzioni della Congregazione.
Certamente la struttura dei seminari, il numero dei seminaristi e la preparazione culturale di base sono cambiate molto negli ultimi anni, ma alcuni degli indirizzi educativi dei giovani studenti sono ad oggi lontani dalla realizzazione o almeno lasciati alle singole iniziative. Come ad esempio l’approfondito studio del canto gregoriano
<<Tutti gli studenti di teologia acquisiscano una sufficiente conoscenza delle melodie gregoriane, soprattutto di quelle maggiormente diffuse,>>
o l’approfondimento della tecnica per la direzione del coro
<< E’ opportuno che siano introdotti alla conoscenza dei principi necessari alla direzione del coro per poter almeno dirigere il canto del Kyriale e la salmodia, come pure i canti polifonici […]>>
Allo stesso modo non è del tutto presente nel panorama nazionale l’istituzione di una <<“schola cantorum” diretta e organizzata da un esperto maestro di coro>> che potrebbe essere importante esperienza per i seminaristi e costante stimolo al miglioramento delle capacità vocali.
Capacità vocali che devono essere esercitate, perché:
<< E’ assai importante che il timbro della voce del sacerdote in chiesa, quando prega, o predica, o legge, riesca chiaro, comprensibile e gradito;>>
Esperienze vocali che non dovrebbero essere facoltative, né casuali, né di breve durata, ma dovrebbero accompagnare la crescita spirituale del seminarista.
XI
Alla già problematica, ma fondamentale, esperienza del canto si deve aggiungere l’attenzione per l’insegnamento di tutte quelle materie musicali che dovrebbero fare del novizio un ministro capace di discernere tra il bello e il brutto, tra il vero ed il falso, tra il sacro ed il profano.
La conoscenza della musica nelle sue caratteristiche estetiche, storiche, tecniche e l’avviamento alla musica organistica sono certamente di difficile attuazione. Ma anche in questo caso le soluzioni sono state molte e differenti in rapporto ai luoghi ed alla tradizione.
Dove c’era o dove risiede una persona con particolari capacità e conoscenze musicali si riesce a creare un’accurata preparazione generale. Ma la proposta di avere in <<ogni seminario […] un professore di musica sacra>> non trova una capillare diffusione.
La difficoltà principale è certamente trovare una persona di fiducia, volenterosa nell’insegnamento e con una solida preparazione musicale. La figura di un unico docente che aiuti i novizi nella scoperta della propria voce, del repertorio gregoriano, dell’estetica e della storia della musica sacra è molto rara.
Certamente i direttori ed i compositori che possiedano queste caratteristiche scarseggiano, ma dovrebbe essere comunque affrontato il problema, cercandone in maniera definitiva una soluzione.
L’attività corale potrebbe essere un buon viatico per l’approfondimento “dall’interno” delle molte questioni legate all’insegnamento della musica, ma anche in questo caso dovremo chiederci quanti direttori di coro potrebbero essere in grado di formare ed educare i seminaristi alle diverse forme di canto sacro.
Torna certamente ora alla mente la frase del “Sacrosantum concilium”:
<<Per raggiungere questa formazione si abbia cura di preparare i maestri destinati all'insegnamento della musica sacra>>
dove si faceva già evidente la necessità di preparare coloro i quali avrebbero dovuto formare il nuovo clero.
XII
Tre sono i punti fondamentali riguardanti l’Istructio “Doctrina ed exemplo”: lo studio approfondito della musica sacra, l’esperienza liturgica e storica del coro, la conoscenza della pratica strumentale. Questi tre argomenti sono stati oggetto di un questionario che l’Associazione Italiana Santa Cecilia ha promosso all’inizio del 2003.
Nonostante la scarsità delle risposte (solo il 30% dei seminari), nei risultati di questo monitoraggio si possono riscontrare molti importanti aspetti che mettono in evidenza la situazione attuale e indicano anche la strada da compiere per migliorare il lavoro già svolto.
XIII
I tre punti appena citati devono evidentemente trovare una loro linea evolutiva finalizzata all’attuazione piena delle indicazioni del Concilio Vaticano II e delle Istruzioni della Confraternita dei Riti e della Confraternita dei Seminari.
La diffusione in tutti i Seminari di un corso base di Musica sacra e l’istituzione di un coro, sono certamente il primo passo da affrontare, per poter formare i giovani futuri sacerdoti. Due corsi semplici basati sull’esperienza diretta dell’ascolto del suono, dell’ascolto della parola e sulla pratica musicale. Così che i seminaristi possano comprendere, confrontare e conoscere gli stili, i generi di musica sacra e soprattutto possano provare a realizzare praticamente queste composizioni.
Soltanto conoscendo “dall’interno” la musica potranno educare l’assemblea e indirizzare la ricerca dei repertori. La semplice conoscenza storica e liturgica della musica sacra non sarebbe sufficiente per poter discernere il sacro dal profano, il vero dal falso.
Istituire ed aiutare dove già esistono queste esperienze musicali di base, sarebbe un momento di importante evoluzione verso la realizzazione completa del messaggio del Concilio.
Il Convegno sulla Musica sacra del 2001 aveva già fatto notare, nel quinto punto del documento conclusivo, l’importanza della <<formazione nei seminari e nei noviziati>> che <<deve includere lo studio e la pratica della musica sacra e l’acquisto dei criteri necessari al discernimento dei Pastori, reso più arduo e necessario dalla secolarizzazione della cultura dominante>>.
Questo breve documento ci indica in altri momenti la strada che la musica sacra deve prendere, per superare la crisi attuale. Il quarto punto è infatti dedicato all’intenzione di far nascere un nuovo repertorio:
<<Si prende atto di una forte volontà di elevare il livello attuale della musica sacra. Poiché questa non è fine a se stessa, ma è un ministero in seno alla liturgia, occorre promuovere una vera cooperazione tra l’artista e la Chiesa per favorire la creazione di una musica liturgica di qualità, nucleo della musica sacra.>>
Mentre in un’altra delle note conclusive si legge:
<<La risposta alla crisi attuale della musica sacra sarà più adatta e più forte se risulta essere frutto di un impegno comune delle Chiese cristiane. La cooperazione in questo campo dalla forte valenza teologica, spirituale e culturale, è una delle vie dell’impegno ecumenico.>>
Quello che si chiede ai seminari, ai Rettori, ai docenti, ai Vescovi non è un impegno semplice. Si tratta di stimolare un’attività musicale che trovi nuova energia nell’incontro con la Parola, nella consapevolezza della storia della musica sacra e delle indicazioni del Concilio Vaticano II.
Questo comporta:
Nella speranza che queste indicazioni, frutto della riflessione sulla storia della musica sacra degli ultimi cento anni, possano trovare una loro confortante realizzazione, ci affidiamo alla certezza che dal “Motu proprio” di San Pio X, la musica sacra abbia avuto sempre per la Chiesa una rinnovata attenzione, che non potrà portarla altro che ad un nuovo e grande splendore.
ARTICOLO NOVEMBRE 2003
MUSICA SACRA: RELIGIOSA E LITURGICA
I
La musica tra tutte le arti è quella che più si allontana dalla comunicazione di significati precisi. Certamente la pittura, la scultura o la poesia non esprimono esclusivamente un significato, ma la loro relazione con la realtà, ne ha fatte da sempre arti che potevano più facilmente docere, movere, delectare.
Questo non significa che la musica sia un’arte di minore interesse e capacità espressiva, anzi la caratteristica di muovere emozioni, senza utilizzare necessariamente figure appartenenti al mondo reale, ne fanno l’arte che per eccellenza avvicina l’uomo alla meditazione.
Ogni espressione artistica comunica attraverso molti livelli e se il delectare è di semplice comprensione, perché è legato alla bellezza delle forme artistiche che possono essere “leggibili” anche da un pubblico non preparato; comprendere il movere richiede invece una maggiore preparazione, perché per muovere in profondità l’animo si devono conoscere e poter apprezzare alcune caratteristiche tecniche dell’opera d’arte.
La musica si distingue in maniera evidente dalle altre arti nel docere, qui questa forma espressiva diviene spesso un linguaggio per pochi. Se attraverso le immagini e le parole si possono facilmente “educare” persone di culture ed esperienze diverse, la musica non ha a disposizione alcuna caratteristica che univocamente possa richiamare a figure della realtà. Questa “maggiore” astrazione nel Quattrocento e nel Rinascimento aiutò la nascita di un linguaggio di simboli musicali comprensibili solo da una ristretta cerchia di uomini di cultura. Simboli che potevano certamente “insegnare” e comunicare dei messaggi teologici, filosofici e di Fede, ma che erano interpretabili solo dai musici sapiens. Il Concilio di Trento intervenne proprio su questo campo, cercando di indirizzare nuovamente la musica verso una più semplice comprensione da parte di tutti, attraverso la chiarezza dell’espressione verbale.
Il grande fulcro espressivo che il Concilio di Trento voleva mettere in risalto era la parola, che attraverso il canto, può trovare una importantissima fusione di intenti con l’espressione musicale. La parola è stata da sempre il luogo in cui il suono si univa al significato e per questo dagli antichi fino ai nostri giorni i compositori hanno dedicato una grande attenzione all’interpretazione del testo.
Dalle prime forme di canto monodico, fino alla precisazione con l’intervento di San Gregorio del repertorio liturgico che prese il nome di gregoriano, la parola, nel suo duplice aspetto di suono e significato, fu l’elemento dal quale si generava il ritmo e la melodia. Per questo non possiamo e non dobbiamo dimenticare prima della musica la fondamentale importanza del testo.
Le fonti bibliche privilegiate da sempre per la ricerca di testi adatti alla musica sacra e liturgica, sono oggi tradotte con non sempre felici e autorevoli esiti o affiancate a testi di nuova produzione che dovrebbero essere valutati per comprenderne l’effettivo valore.
II
Oltre al “come si canta la parola”, cioè alla comprensione del testo durante la cerimonia liturgica che fu promossa dall’intervento del Concilio di Trento ed ebbe nei secoli successivi un suo importante sviluppo fino ad arrivare alla moderna celebrazione della liturgia nelle varie lingue nazionali; le autorità ecclesiastiche devono affrontare oggi anche il problema del “cosa viene cantato”.
Questo perché nel momento in cui si chiede alla musica di mettere in risalto la fruibilità della parola, è importante affrontare il “che cosa” propone il testo. La nascita e la proliferazione di “canzoni” ad una voce che rendono molto comprensibile il messaggio del testo, presuppone di conseguenza la nascita o la riscoperta di un repertorio letterario che mantenga quelle caratteristiche poetiche e estetiche proprie della celebrazione liturgica.
Rileggendo alcune tra le poesie e le preghiere che hanno stimolato la creatività dei musicisti del passato ci si può certamente rendere conto di quale deve essere il punto di riferimento letterario e poetico, affinché il messaggio non risulti “sacro” nei contenuti, ma “profano” nei modi e nelle realizzazioni.
La consuetudine rinascimentale di riprendere la musica delle composizioni profane e sostituirne il testo con un brano sacro, era sfruttata per utilizzate con finalità educative le composizioni più diffuse nella popolazione. Il popolo che difficilmente poteva partecipare all’esecuzione dei canti sacri della grande tradizione polifonica, veniva così guidato al canto di argomento sacro, attraverso alcune melodie popolari. La musica sacra aveva in questo modo due importanti categorie, quella con finalità educative, spesso nella lingua o nel dialetto del luogo dove veniva cantata, e quella con finalità celebrative, composta dai maestri di cappella e cantata in latino durante le liturgie.
Certamente i tempi sono cambiati, ma c’è il rischio di un’invasione dello stile profano all’interno delle celebrazioni liturgiche. Questo rischio non nasce dall’utilizzo di una lingua diversa dal latino, non nasce neppure dalla semplificazione del linguaggio musicale, questi aspetti dovranno trovare un loro equilibrio, ma certamente potranno col tempo avere un loro indirizzo sempre più preciso. Il pericolo sta invece nella perdita di confronto con la grande tradizione liturgica della Chiesa e nell’importazione all’interno delle celebrazioni di formule musicali e letterarie tipiche della musica leggera e della musica profana moderna.
Se prima il sacro andava incontro alla cultura popolare creando una versione religiosa delle composizioni profane, ma rimanendo in ambito non liturgico, oggi è il mondo dell’arte popolare rischia di entrare prepotentemente nella liturgia attraverso i suoni, le parole, le voci, i ritmi.
Per questo è fondamentale che all’interno delle strutture educative della Chiesa, si riservi un importante momento alla formazione di una nuova, moderna e cosciente cultura musicale e letteraria.
III
Ricercare l’equilibrio tra la tradizione e l’innovazione è stato ed è ancora un percorso complesso. Gli ultimi decenni hanno portato nuovi stimoli ed a volte qualche disorientamento. Per questo è fondamentale ripartire dal “Motu Proprio” di Pio X, per poter comprendere come il problematico rapporto tra la musica e la liturgia non è un argomento recente, ma da sempre affrontato dalla Chiesa.
Nei principi generali del “Motu proprio” leggiamo:
<<La musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia ne partecipa il fine generale, che e la gloria di Dio e la santificazione ed edificazione dei fedeli.
Essa concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche.>>
ed ancora:
<< La musica sacra deve per conseguenza possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia e precisamente la santità e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro carattere, che è l’universalità. […]Deve essere arte vera, non essendo possibile che altrimenti abbia sull’animo di chi l’ascolta quell’efficacia, che la Chiesa intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni.>>
Ritroviamo quindi i concetti fondamentali di solennità della liturgia, dell’edificazione dei fedeli, di universalità e di verità che ancora oggi devono essere tenuti in grande considerazione. Principi che obbligano i seminari italiani e tutte le strutture educative a prendere in grande considerazione la necessità di uno studio approfondito della musica.
Per poter distinguere le strade più adeguate alla nascita ed allo sviluppo di una musica che sia solenne, educativa, universale e vera servono strumenti tecnici che solo una preparazione profonda può dare. Preparazione che era ancora presente all’epoca di San Pio X, ma che per molteplici motivazioni si è andata diversificando e, in alcuni sfortunati casi, perdendo nei tempi moderni.
Nel “Motu proprio” leggiamo:
<<Per tali motivi il canto gregoriano fu sempre considerato come il modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica; quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme. […]Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia>>
Questo sta ad indicare quanto ancora fosse forte l’interesse per il canto gregoriano che si rifletteva sia sulle composizioni polifoniche sacre che sulle melodie popolari di carattere religioso. Presenza che portò alla nascita di una nuova musica liturgica ed un nuovo coinvolgimento dei fedeli.
Chiaramente non è adesso possibile creare un ponte tra la situazione culturale dei primi anni del Novecento e l’epoca che stiamo vivendo, molti altri accadimenti storici, culturali e religiosi sono avvenuti, ma è importante interpretare nell’oggi ciò che era e continua ad essere fondamentale per la Chiesa: il rapporto tra la parola e la melodia, il ritmo e l’eleganza del canto.
Altrettanto degno di attenzione è ciò che il “Motu proprio” chiedeva di evitare:
<<[…] le composizioni musicali di stile moderno, che si ammettono in chiesa, nulla contengano di profano, non abbiano reminiscenze di motivi adoperati in teatro, e non siano foggiate neppure nelle forme esterne sull’andamento dei pezzi profani>>
e ancora:
<< Il testo liturgico deve essere cantato come sta nei libri, senza alterazione o posposizione di parole, senza indebite ripetizioni, senza spezzarne le sillabe, e sempre in modo intelligibile ai fedeli che ascoltano>>
Attenzioni al discernimento tra stile sacro e stile profano che la mancanza di una verifica costante e la difficile creazione di un’approfondita preparazione musicale hanno, in taluni casi, fatto passare in secondo ordine.
IV
Entrando più specificatamente nell’educazione musicale dei seminari il “Motu proprio” proponeva:
<<Nei seminari dei chierici e negli istituti ecclesiastici, giusta le prescrizioni tridentine, si coltivi da tutti con diligenza ed amore il prelodato canto gregoriano tradizionale, ed i Superiori siano in questa parte larghi d’incoraggiamento e di encomio coi loro giovani sudditi. Allo stesso modo, dove torni possibile, si promuova tra i chierici la fondazione di una Schola Cantorum per l’esecuzione della sacra polifonia e della buona musica liturgica.>>
Questo indirizzo è di fondamentale importanza per le nostre istituzioni educative e le parole “diligenza ed amore” stanno ad indicare quanto il canto gregoriano sia imprescindibile materia da affrontare durante gli studi di formazione. Chiaramente questa cultura è oggi da ampliare con tutte le altre forme espressive che la musica vocale propone, dalla polifonia antica ai canti della nuova produzione in lingua italiana. Ma il canto rimane la prima e fondamentale forma educativa dei giovani e dei sacerdoti.
Pio X intese però allargare le <<sagge riforme, da molto tempo desiderate e da tutti concordemente invocate>> alle strutture formative specialistiche di teologia e musica sacra:
<< Nelle ordinarie lezioni di liturgia, di morale, di gius canonico che si danno agli studenti di teologia non si tralasci di toccare quei punti che più particolarmente riguardano i principi e le leggi della musica sacra, e si cerchi di compierne la dottrina con qualche particolare istruzione circa l’estetica dell’arte sacra, affinché i chierici non escano dal seminario digiuni di tutte queste nozioni pur necessarie alla piena cultura ecclesiastica. […] Si procuri di sostenere e promuovere in ogni miglior modo le Scuole superiori di musica sacra dove già sussistono e di concorrere a fondarle dove non si possiedono ancora. Troppo è importante che la Chiesa stessa provveda all’istruzione dei suoi maestri, organisti e cantori, secondo i veri principi dell’arte sacra.>>
La chiarezza delle vedute di vera e propria riforma dell’insegnamento della musica si comprende proprio dall’impostazione di questo documento, teso a coinvolgere pienamente tutte le realtà formative e divulgative della musica sacra.
V
Nel secondo dopoguerra la Chiesa sentì la necessità di continuare la riforma di San Pio X e nel 1955 l’enciclica “Musicae Sacrae Disciplina” confermò e approfondì l’intento di rinnovamento e ritorno al canto gregoriano espresso nel “Motu proprio”.
<<[…] si può affermare a buon diritto che è stato il Nostro predecessore di i.m. san Pio X a compiere un'organica restaurazione e riforma della musica sacra, tornando a inculcare i principi e le norme tramandati dall'antichità e opportunamente riordinandoli secondo le esigenze dei tempi moderni.>>
Un’attenzione ai principi tramandati dall’antichità che si manifestava con una grande premura verso l’educazione al canto gregoriano del quale si proponeva un rinvigorimento del repertorio attraverso la composizione di nuove melodie:
<< Noi vogliamo e prescriviamo che si faccia, portando l'attenzione a quelle caratteristiche che sono proprie del genuino canto gregoriano; che cioè nella celebrazione dei riti liturgici si faccia largo uso di tale canto, e si provveda con ogni cura affinché sia eseguito con esattezza, dignità e pietà. Che se per le feste introdotte di recente si debbano comporre nuove melodie, ciò si faccia da maestri veramente competenti, in modo da osservare fedelmente le leggi proprie del vero canto gregoriano e le nuove composizioni gareggino per valore e purezza con le antiche.>>
Nell’enciclica si faceva riferimento con precisione alle caratteristiche già espresse da Pio X sulla santità della musica, che non doveva avere alcun elemento richiamante il mondo profano. Soprattutto venivano rinforzati i valori di verità e universalità del canto gregoriano come momento di unità della liturgia romana.
Questi indirizzi vennero reinterpretati dalle norme del “Sacrosantum Concilium”, ma il valore del canto gregoriano nel suo intenso rapporto tra parola e musica rimase evidente anche nel Concilio:
<<La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, […]>>
Lo stesso Concilio confermò con alcune precisazioni l’utilizzo della polifonia all’interno della celebrazioni, ma fondamentale fu la prosecuzione del rinnovamento legato alla musica religiosa popolare.
Questo tipo di composizione sacra era già stata presa in considerazione da Pio XII che esortava a favorire e promuovere il canto liturgico in volgare, dettandone le caratteristiche:
<< Affinché tali canti religiosi portino frutto spirituale e vantaggio al popolo cristiano, devono essere pienamente conformi all'insegnamento della fede cristiana, esporla e spiegarla rettamente, usare un linguaggio facile e una melodia semplice, aborrire dalla profusione di parole gonfie e vuote e, infine, pur essendo brevi e facili, avere una certa religiosa dignità e gravità. >>
Dall’attenzione dedicatagli nella “Musicae Sacrae Disciplina” nel 1955 all’estrema valorizzazione conferita a questo tipo di canto assembleare dal Concilio Vaticano II nel 1963, l’evoluzione fu assai rapida, ma certamente lineare.
L’esortazione di Pio XII a volere favorire questi canti religiosi era già un chiaro indirizzo di ricerca che la Chiesa si proponeva per dare prestigio liturgico al repertorio popolare:
<<Non vi mancheranno uomini esperti, per raccogliere e riunire insieme, dove già non sia stato fatto, questi canti, perché da tutti i fedeli possano più facilmente venire imparati, cantati con speditezza e bene impressi nella memoria.>>
VI
Zelo, accuratezza, chiarezza di intenti didattici e tante altre caratteristiche erano richieste dall’enciclica “Musicae Sacrae Disciplina” a coloro che dovevano indicare la strada per la nascita e la valorizzazione dei cori:
<<Innanzi tutto datevi cura perché nella chiesa cattedrale e, in quanto dalle circostanze è consentito, nelle maggiori chiese della vostra giurisdizione, ci sia una scelta Schola cantorum, la quale riesca agli altri di esempio e di stimolo a coltivare e a eseguire con diligenza il canto sacro. Dove poi non si possono avere le Scholae cantorum né si può adunare un conveniente numero di Pueri cantores, si concede che "un gruppo di uomini e di donne o fanciulle in luogo a ciò destinato, posto fuori della balaustra, possa cantare i testi liturgici della messa solenne, purché gli uomini siano del tutto separati dalle donne e fanciulle e sia evitato ogni inconveniente, onerata in ciò la coscienza degli ordinari".>>
Medesima attenzione era destinata alla preparazione dei seminaristi:
<<Con grande sollecitudine è da provvedere che quanti nei seminari e negli istituti missionari religiosi si preparano ai sacri ordini, siano rettamente istruiti secondo le direttive della chiesa nella musica sacra e nella conoscenza teorica e pratica del canto gregoriano da maestri esperimentati in tali discipline,[…]che se tra gli alunni dei seminari e dei collegi religiosi ve ne sia qualcuno fornito di particolare tendenza e passione verso quest'arte, i rettori dei seminari o dei collegi non trascurino d'informarvi di questo, perché possiate offrirgli occasione di coltivare meglio tali doti.>>
VII
Occasione di grande continuità con l’enciclica di Pio XII fu nel Vaticano II, l’attenzione ad una rinnovata e fruttuosa educazione musicale all’interno dei seminari.
<<Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli studentati, come pure negli altri istituti e scuole cattoliche. Per raggiungere questa formazione si abbia cura di preparare i maestri destinati all'insegnamento della musica sacra.>>
La valorizzazione dell’arte musicale attraverso il consolidamento degli istituti di musica sacra dove si sarebbero approfondite le materie specifiche, e la formazione liturgica aperta ai musicisti, ai cantori ed ai fanciulli furono certamente un’ulteriore importante stimolo verso il rinnovamento del repertorio.
Certamente la musica fu l’arte che venne maggiormente coinvolta dal rinnovamento della celebrazione liturgica del Concilio Vaticano II, per cui la ricerca di << maestri destinati all'insegnamento della musica sacra>> non poteva, in quel momento di grandi trasformazioni, avere molto successo.
Per questo motivo l’art. 115 del “Sacrosantum Concilium” chiedeva per prima cosa nella formazione musicale, di preparare i maestri. Era evidente quanto le norme che venivano indicate dal Concilio sarebbero state inizialmente di difficile comprensione ed attuazione.
La partecipazione corale e attiva dei fedeli a molte parti della messa sancita dall’art. 30:
<<Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, un sacro silenzio.>>
rendeva, soprattutto in Italia, molto complessa l’elaborazione dei nuovi canti per la messa e difficoltoso l’insegnamento della musica all’interno delle strutture educative religiose. Questo perché la cultura musicale di base del popolo italiano era a livelli di completo analfabetismo ed era quindi impossibile allargare l’espressione musicale liturgica all’assemblea, senza semplificare il linguaggio musicale.
VIII
Dal Concilio Vaticano II ai nostri giorni non è stata semplice l’attuazione completa delle indicazioni riguardanti la musica. Questo per la già citata impreparazione dei fedeli ad una partecipazione vocale attiva alle cerimonie, ma anche, come ha messo in risalto il Convegno sulla Musica Sacra del gennaio 2001, per una certa “mancanza di coesione nelle persone impegnate nella musica sacra”. Una mancanza di coesione che occorre affrontare per riconciliare “le forze impegnate” e “ per riaffermare i valori della musica in cui la Chiesa crede”.
<<L'azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo.>>(estratto SC 113)
Così recita l’art. 113 del ”Sacrosantum Concilium”. Trattando il tema della liturgia solenne, queste parole proponevano il cammino da seguire. Non si potevano certamente prevedere e risolvere anticipatamente le problematiche che sarebbero nate nell’attuazione del rinnovamento del rito. Altre erano le indicazioni messe in risalto dall’art. 112 che avrebbero dovuto guidare i ministri della Chiesa, i compositori, i rettori dei seminari:
<<Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia dando alla preghiera un'espressione più soave e favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri. La Chiesa poi approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purché dotate delle qualità necessarie.>> (estratto SC 112)
I concetti di vera arte, già proposti da San Pio X e dall’enciclica di Pio XII venivano ripresi, come confermata era l’attenzione al canto gregoriano, alla musica polifonica ed alla nascita di “Schole cantorum” all’interno di tutte le chiese.
Sappiamo però quanto tutto questo è stato realizzato parzialmente e quanto ancora si debba cercare il giusto equilibrio tra l’arte sacra del passato e quella moderna.
Molti interventi si sono succeduti nel tentativo di indirizzare questo cammino. Uno fra i più importanti fu nel 1967 quello della la Sacra Congregazione dei Riti che con l’Instructio “Musicam sacram – de musica in sacra liturgia” pose la sua attenzione su tutte le caratteristiche necessarie affinché questa arte potesse essere considerata sacra e liturgica:
<<Musica sacra è quella che, composta per la celebrazione del culto divino, è dotata di santità e bontà di forme>>
e ancora:
<<Sotto la denominazione di Musica sacra si comprende, in questo documento: il canto gregoriano, la polifonia sacra antica e moderna nei suoi diversi generi, la musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente ammessi nella liturgia, e il canto popolare sacro, cioè liturgico e religioso.>>
IX
Organico, chiaro, per molti aspetti anche concreto nella risoluzione delle problematiche inerenti la celebrazione liturgica, il documento della Congregazione dei Riti precisa puntualmente tutti gli aspetti che riguardino la musica sacra.
Dopo alcune norme generali che riprendono e sviluppano gli articoli del “Sacrosantum concilium”, si passa all’analisi di vari argomenti tra cui:
- I partecipanti alle celebrazioni liturgiche (punto 2) nel quale vengono affrontati tutti gli aspetti legati alla creazione di una Schola cantorum, all’educazione dei fedeli, alla nascita e diffusione del repertorio dell’assemblea, alla promozione dell’attività corale nei seminari e alla valorizzazione delle realtà locali come cori e associazioni diocesane.
- Il canto nella celebrazione della messa (punto 3) dove riprendendo l’enciclica di Pio XII si presentano le tre distinzioni della messa: solenne, cantata e parlata. Indicando inoltre in quali canti è necessaria la partecipazione dell’assemblea.
- Quale lingua usare nelle azioni liturgiche celebrate in canto, e come preservare il patrimonio di musica sacra (punto 6) che affrontando la questione della lingua latina o volgare, pone la problematica dello stile popolare tipico dei canti in lingua italiana e lo stile polifonico di più complessa esecuzione e comprensione. (Da notare come vengano inoltre stimolate le esecuzioni e le composizioni di musiche non esclusivamente gregoriane, tradizionali e contemporanee).
L’istruzione al canto dell’assemblea viene proposta in molti punti con grande chiarezza:
<< […] la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, […] >>
si ricerca anche la preparazione di laici che possano essere da guida durante la liturgia:
<< tra i fedeli siano istruiti con speciale cura nel canto sacro i membri delle associazioni religiose di laici. >>
Ma anche e soprattutto non viene dimenticata la promozione della musica cantata dalla “schola”, sopratutto se questa è formata dai seminaristi o dagli studenti degli istituti religiosi:
<< si abbia e si promuova con cura specialmente nelle cattedrali e altre chiese maggiori, nei seminari e negli studentati religiosi, un “coro” o una “cappella musicale” o una “schola cantorum”>> e <<si educhino inoltre i fedeli a saper innalzare la loro mente a Dio attraverso la partecipazione interiore, mentre ascoltano ciò che i ministri o la “schola” cantano.>>
X
Nelle indicazioni della Congregazione dei Riti si può spesso notare l’attenzione all’educazione musicale dei seminaristi. Questo argomento era già stato affrontato nel 1965 dalla Congregazione dei Seminari con l’Istructio “Doctrina ed exemplo”.
L’art. II di questo documento tratta l’insegnamento della musica sacra nei seminari ed è di fondamentale indirizzo per l’impostazione, la verifica e il miglioramento della situazione attuale.
<<La musica sacra deve essere annoverata fra le materie indispensabili alla educazione dei chierici>>
questa è una delle prime frasi che si leggono nell’Art. II che continua precisando la necessita che la musica
<<venga insegnata con metodi idonei e per tempo sufficiente, a partire dai primi anni di studio del corso teologico.>>
Basterebbe soltanto questo frammento del documento per evidenziare quali sono i seminari italiani che hanno realizzato questo progetto. Probabilmente ci accorgeremmo che, per molteplici motivi, non sono molti gli istituti che pur nella varietà delle realizzazioni abbiano dato seguito, in maniera corretta, alle istruzioni della Congregazione.
Certamente la struttura dei seminari, il numero dei seminaristi e la preparazione culturale di base sono cambiate molto negli ultimi anni, ma alcuni degli indirizzi educativi dei giovani studenti sono ad oggi lontani dalla realizzazione o almeno lasciati alle singole iniziative. Come ad esempio l’approfondito studio del canto gregoriano
<<Tutti gli studenti di teologia acquisiscano una sufficiente conoscenza delle melodie gregoriane, soprattutto di quelle maggiormente diffuse,>>
o l’approfondimento della tecnica per la direzione del coro
<< E’ opportuno che siano introdotti alla conoscenza dei principi necessari alla direzione del coro per poter almeno dirigere il canto del Kyriale e la salmodia, come pure i canti polifonici […]>>
Allo stesso modo non è del tutto presente nel panorama nazionale l’istituzione di una <<“schola cantorum” diretta e organizzata da un esperto maestro di coro>> che potrebbe essere importante esperienza per i seminaristi e costante stimolo al miglioramento delle capacità vocali.
Capacità vocali che devono essere esercitate, perché:
<< E’ assai importante che il timbro della voce del sacerdote in chiesa, quando prega, o predica, o legge, riesca chiaro, comprensibile e gradito;>>
Esperienze vocali che non dovrebbero essere facoltative, né casuali, né di breve durata, ma dovrebbero accompagnare la crescita spirituale del seminarista.
XI
Alla già problematica, ma fondamentale, esperienza del canto si deve aggiungere l’attenzione per l’insegnamento di tutte quelle materie musicali che dovrebbero fare del novizio un ministro capace di discernere tra il bello e il brutto, tra il vero ed il falso, tra il sacro ed il profano.
La conoscenza della musica nelle sue caratteristiche estetiche, storiche, tecniche e l’avviamento alla musica organistica sono certamente di difficile attuazione. Ma anche in questo caso le soluzioni sono state molte e differenti in rapporto ai luoghi ed alla tradizione.
Dove c’era o dove risiede una persona con particolari capacità e conoscenze musicali si riesce a creare un’accurata preparazione generale. Ma la proposta di avere in <<ogni seminario […] un professore di musica sacra>> non trova una capillare diffusione.
La difficoltà principale è certamente trovare una persona di fiducia, volenterosa nell’insegnamento e con una solida preparazione musicale. La figura di un unico docente che aiuti i novizi nella scoperta della propria voce, del repertorio gregoriano, dell’estetica e della storia della musica sacra è molto rara.
Certamente i direttori ed i compositori che possiedano queste caratteristiche scarseggiano, ma dovrebbe essere comunque affrontato il problema, cercandone in maniera definitiva una soluzione.
L’attività corale potrebbe essere un buon viatico per l’approfondimento “dall’interno” delle molte questioni legate all’insegnamento della musica, ma anche in questo caso dovremo chiederci quanti direttori di coro potrebbero essere in grado di formare ed educare i seminaristi alle diverse forme di canto sacro.
Torna certamente ora alla mente la frase del “Sacrosantum concilium”:
<<Per raggiungere questa formazione si abbia cura di preparare i maestri destinati all'insegnamento della musica sacra>>
dove si faceva già evidente la necessità di preparare coloro i quali avrebbero dovuto formare il nuovo clero.
XII
Tre sono i punti fondamentali riguardanti l’Istructio “Doctrina ed exemplo”: lo studio approfondito della musica sacra, l’esperienza liturgica e storica del coro, la conoscenza della pratica strumentale. Questi tre argomenti sono stati oggetto di un questionario che l’Associazione Italiana Santa Cecilia ha promosso all’inizio del 2003.
Nonostante la scarsità delle risposte (solo il 30% dei seminari), nei risultati di questo monitoraggio si possono riscontrare molti importanti aspetti che mettono in evidenza la situazione attuale e indicano anche la strada da compiere per migliorare il lavoro già svolto.
- Solo una piccola parte degli istituti (circa un quinto) ha istituito un corso di musica sacra al proprio interno. Probabilmente in questo hanno inciso anche i cambiamenti che i seminari hanno in vario modo vissuto in questi decenni. Le nuove esigenze richieste al clero, l’ordinamento interno e il percorso di studi sono state delle realtà in evoluzione e per questo è stato difficile istituire un corso tanto specifico come quello di musica sacra.
- Panorama più confortante, ma certamente migliorabile, è quello dell’istituzione di un coro formato dai seminaristi. Due terzi degli istituti hanno una loro “schola cantorum” anche se con maggiore precisione dovremmo chiamare questa esperienza coro-guida. Tra tutti i seminari che siano riusciti a dare slancio a questo progetto, in alcuni casi un coro polifonico, mentre in altri un coro che canta ad una voce con accompagnamento dell’organo.Resta la nota dolente di alcuni istituti che ancora non sono riusciti ad istituire un coro. Anche in questo caso, dovremmo però analizzare le effettive difficoltà di alcuni istituti che impediscono la nascita di tale esperienza
- Le problematiche trovate dall’impostazione di una fruttuoso corso di musica sacra, si ripercuotono in modo più evidente sullo studio di uno strumento. La pratica strumentale dell’organo o di altri strumenti che possano accompagnare una cerimonia liturgica, necessità di una competenza tale che resta difficile poterla sviluppare all’interno dei Seminari. Per questo tali competenze vengono sviluppate in collaborazione con l’Istituto Pontificio di Musica Sacra o con i Conservatori Statali di Musica, ma necessariamente coinvolgono solo seminaristi che abbiano già delle conoscenze musicali e uno spiccato interesse per la musica.
XIII
I tre punti appena citati devono evidentemente trovare una loro linea evolutiva finalizzata all’attuazione piena delle indicazioni del Concilio Vaticano II e delle Istruzioni della Confraternita dei Riti e della Confraternita dei Seminari.
La diffusione in tutti i Seminari di un corso base di Musica sacra e l’istituzione di un coro, sono certamente il primo passo da affrontare, per poter formare i giovani futuri sacerdoti. Due corsi semplici basati sull’esperienza diretta dell’ascolto del suono, dell’ascolto della parola e sulla pratica musicale. Così che i seminaristi possano comprendere, confrontare e conoscere gli stili, i generi di musica sacra e soprattutto possano provare a realizzare praticamente queste composizioni.
Soltanto conoscendo “dall’interno” la musica potranno educare l’assemblea e indirizzare la ricerca dei repertori. La semplice conoscenza storica e liturgica della musica sacra non sarebbe sufficiente per poter discernere il sacro dal profano, il vero dal falso.
Istituire ed aiutare dove già esistono queste esperienze musicali di base, sarebbe un momento di importante evoluzione verso la realizzazione completa del messaggio del Concilio.
Il Convegno sulla Musica sacra del 2001 aveva già fatto notare, nel quinto punto del documento conclusivo, l’importanza della <<formazione nei seminari e nei noviziati>> che <<deve includere lo studio e la pratica della musica sacra e l’acquisto dei criteri necessari al discernimento dei Pastori, reso più arduo e necessario dalla secolarizzazione della cultura dominante>>.
Questo breve documento ci indica in altri momenti la strada che la musica sacra deve prendere, per superare la crisi attuale. Il quarto punto è infatti dedicato all’intenzione di far nascere un nuovo repertorio:
<<Si prende atto di una forte volontà di elevare il livello attuale della musica sacra. Poiché questa non è fine a se stessa, ma è un ministero in seno alla liturgia, occorre promuovere una vera cooperazione tra l’artista e la Chiesa per favorire la creazione di una musica liturgica di qualità, nucleo della musica sacra.>>
Mentre in un’altra delle note conclusive si legge:
<<La risposta alla crisi attuale della musica sacra sarà più adatta e più forte se risulta essere frutto di un impegno comune delle Chiese cristiane. La cooperazione in questo campo dalla forte valenza teologica, spirituale e culturale, è una delle vie dell’impegno ecumenico.>>
Quello che si chiede ai seminari, ai Rettori, ai docenti, ai Vescovi non è un impegno semplice. Si tratta di stimolare un’attività musicale che trovi nuova energia nell’incontro con la Parola, nella consapevolezza della storia della musica sacra e delle indicazioni del Concilio Vaticano II.
Questo comporta:
- la scelta di piani di studio adeguati ai tempi, che propongano una preparazione di base che maggiormente possa confrontarsi con l’esperienza diretta della musica;
- la ricerca di docenti preparati con completezza nelle materie musicali, che conoscano tutte le indicazioni legate all’Istructio della Confraternita dei Riti e abbiano dimestichezza con i vari stili della musica sacra del passato e del presente;
- l’istituzione di almeno due attività musicali non facoltative all’interno degli istituti. Una materia con caratteristiche più teorico-estetiche (Musica sacra) ed un’altra maggiormente dedicata alla pratica corale (“Schola cantorum”);
- la realizzazione di progetti di promozione dell’arte sacra, al fine di ritrovare un rinnovato vigore della produzione musicale, che possa così divenire momento di riflessione anche per la cultura laica.
Nella speranza che queste indicazioni, frutto della riflessione sulla storia della musica sacra degli ultimi cento anni, possano trovare una loro confortante realizzazione, ci affidiamo alla certezza che dal “Motu proprio” di San Pio X, la musica sacra abbia avuto sempre per la Chiesa una rinnovata attenzione, che non potrà portarla altro che ad un nuovo e grande splendore.